E’ il momento della “Leadership saggia”. Ma siamo sicuri che sia una scelta possibile?
E’ interessante notare che su un elemento cruciale per l’efficacia e l’efficienza dei processi organizzativi com’è appunto la leadership, a intervalli quasi regolari vengono proposti nuovi paradigmi contrassegnati da nuovi criteri operativi e nuovi presupposti teorici.
Il che è una conferma indiretta del fatto che a tutt’oggi non si è ancora riusciti a definire un modello soddisfacente di leadership, e che quelli che sembrano tali vengono via via smentiti dalla realtà della vita aziendale.
Ora è il momento della Wise Leadership (B.McKenna, D.Rooney, K.Boal): che cosa la contraddistingue?
I tre autori spiegano la capacità intuitiva dei leader saggi come:
esperienza che comprende, auto-comprensione e una qualità metafisica.
B.McKenna, D.Rooney, K.Boal
I leader saggi, dicono, riconoscono:
il sensoriale e il viscerale come componenti importanti del processo decisionale e del giudizio … che non li vincolano assolutamente alle regole della ragione, consentendo così visione, intuizione e lungimiranza
B.McKenna, D.Rooney, K.Boal
I leader saggi sono consapevoli di sé, consapevoli dei propri pregiudizi, dei propri condizionamenti sociali e quindi in grado di moderare la tendenza all’eccesso di ottimismo con i propri istinti intuitivi.
Ma hanno anche imparato ad apprezzare l’intuizione, avendo appreso a usarla bene in combinazione con la loro capacità razionale ed esperienza.
La saggezza in un’indagine su un panel di dirigenti
Una indagine su 182 dirigenti coordinata da Mike Thompson, Professor of Management Practice and Director of the Centre for Leadership and Responsibility (ECCLAR) at the China Europe International Business School sembra supportare questa visione:
Il leader saggio ha lungimiranza;
Il leader saggio usa la ragione, l’esperienza e l’attenta osservazione;
Il leader saggio tiene conto di elementi non razionali e soggettivi quando prende decisioni e,
Il leader saggio ha un orientamento al di là dell’interesse personale e verso il Bene Comune.
Agli intervistati era stato chiesto inoltre se, nella loro esperienza, potevano descrivere come la saggezza potrebbe aggiungere qualcosa in più al processo decisionale. Ecco una risposta significativa:
La saggezza è l’elemento critico che separa le buone decisioni da decisioni brillanti e di successo, nonché ciò che separa il processo decisionale di leader efficaci da quello di semplici manager o capi
Alla prova dei fatti
Certo sarebbe bello se la leadership saggia potesse finalmente far aumentare la fiducia dei collaboratori nei loro capi, attualmente attestata attorno a uno sconfortante 24% (R.I.Sutton).
Sta di fatto però che tutti i modelli di leadership proposti ad oggi, compreso quest’ultimo, sono viziati da una mancanza di cultura sistemica.
Parlano infatti di “qualità” e “skill” del leader come se fossero suoi tratti personali. Ma è un approccio antiscientifico: la realtà è un’altra.
Siamo ancora influenzati da una modalità di pensiero vecchia di almeno un secolo, che ci porta a credere che le qualità espresse da una persona siano manifestazioni di una sua “personalità “.
Non è vero: qualunque qualità è espressione di una relazione tra un soggetto e un contesto. La qualità emerge dal processo, non dall’individuo.
Dunque, non “tratti della personalità “, ma circolarità di competenze e motivazioni tra soggetti diversi. Ne consegue che non può esserci un leader saggio con un team saggio all’interno di un’organizzazione strettamente focalizzata su produttività, profitto e competizione ad ogni costo.
La wise leadership, per potersi dispiegare, necessita di un contesto appropriato. Provate a prendere i quattro punti elencati nel paragrafo precedente e al soggetto “Il leader saggio” sostituite “l’azienda saggia”. Quante tra le aziende che conoscete soddisfa tutti i punti, l’ultimo in particolare?
A dispetto di ciò, Mike Thompson resta ottimista:
Ci sono molti leader aziendali che non attraggono i titoli dei media ma che sono ammirati all’interno dei loro circoli per la loro capacità di vivere al di là del loro interesse personale e nel dare giudizi che servono il bene di tutti. Ciò non significa che la saggezza non si prenda cura del proprio interesse personale, significa semplicemente che esiste una saggezza per vivere per un mondo più grande. Occorre combattere le cattive notizie con altre buone notizie su aziende e marchi che vogliono fare del bene nel mondo e fornire ritorni finanziari
In conclusione: la wise leadership esiste, può funzionare, ma oggi non è la norma e nemmeno può esserlo. Il tempo ci dirà se avrà vinto la sua crociata o se invece seguirà il destino degli altri modelli di leadership, con la fiducia dei collaboratori sempre al 24 per cento.
Possiamo fare una retrospettiva agile in uno spazio creativo completamente nuovo in cui si possa provare ad esprimere i propri pensieri ad un buon livello di astrazione, profondità ed in poco tempo?
Certo! Si può fare utilizzando la metodologia Lego® Serious play®
Cos’è Lego® Serious play®
Lego® Serious play® (da ora in avanti LSP), in poche parole, è un modo diverso di conversare di tematiche complesse in maniera giocosa e seria. Potrebbe essere definito come un insieme di attività che combinano la modellazione metaforica attraverso la costruzione con i Lego per esplorare questioni complesse: uno strumento di comunicazione visiva, materica e cinetica dell’idea che si vuole discutere insieme.
Il processo di LSP è composto da 4 fasi, in cui Il facilitatore:
pone ai partecipanti domande strettamente legate all’obiettivo della giornata, la SFIDA
le risposte sono fisicamente costruite con i mattoncini Lego®, che diventano il medium di storie, intuizioni e conversazioni, attraverso l’uso delle metafore, la COSTRUZIONE
successivamente ciascuno racconta la storia della metafora rappresentata nel suo modellino, il RACCONTO
e nell’ultima fase del processo si tracciano le conclusioni emerse dalle storie ascoltate, LA RIFLESSIONE.
Ciò che distingue davvero una sessione LSP da un normale incontro retrospettivo non è solo l’uso di LEGO, ma il metodo stesso, che fa in modo che la voce di tutti sia ascoltata.
I partecipanti, infatti, sono impegnati il 100% del tempo e contribuiscono con il 100% delle loro intuizioni, conoscenze, opinioni, idee e impegno.
Lo scopo del metodo LSP è realizzare e sfruttare TUTTO il potenziale presente nel gruppo. Non solo quello che normalmente viene espresso dai più vivaci, loquaci e attivi. Essere in grado di liberare e beneficiare del potenziale di tutti i partecipanti all’incontro produce più opinioni, idee, conoscenze, intuizioni e allo stesso tempo crea più coinvolgimento, impegno e fiducia.
LSP permette l’uso di un linguaggio divertente e molto versatile perché
C’è un unico metro comunicativo: il mattoncino Lego®: Un linguaggio comune, semplice, immediato, comprensibile a tutti
È più facile capire un pensiero in 3D!
Focalizza sulla Costruzione, non sulle persone; LSP permette di avere migliori conversazioni, più centrate sull’obiettivo e libere da giudizi soggettivi conflittuali
la partecipazione è al 100%: tutti parlano, tutti mettono sul tavolo le loro idee
Il gioco libera energie creative ed emotive: LSP permette l’emersione non solo dei fatti, ma anche degli aspetti emotivi che ci stanno dietro e che spesso altri format di retro sfiorano appena. Questo dipende dalla forza metaforica del proprio pensiero espresso in 3D, della sua narrazione e condivisione che la metodologia riesce ad imprimere sulle mani e sul pensiero.
Cosa puoi aspettarti:
Usare LSP in una Retrospettiva aiuta i team a creare un mondo alternativo a quello dell’ufficio perché LSP trasforma lo spazio in un luogo creativo in cui le regole della vita lavorativa ordinarie sono temporaneamente sospese e sostituite con le regole di questo metodo.
La maggior parte di noi ha familiarità con LEGO®, uno dei giocattoli di marca più conosciuti al mondo. Questo metodo offre ai membri del team l’opportunità di esprimere le proprie opinioni in modo “concretamente” astratto: è come stampare in 3D la metafora dei propri pensieri e permette all’intangibile di diventare un oggetto che si può muovere nello spazio, si può toccare, modificare e studiare da più angolazioni. Questo aspetto di LSP è forse il dono più prezioso della metodologia perché permette di creare le condizioni che faranno emergere soluzioni inaspettate e sorprendenti.
E’ un metodo adatto sia ad un team altamente disfunzionale (con diversi problemi da risolvere, perchè i mattoncini possono aiutarlo a rimettere insieme i pezzi – letteralmente- e rifocalizzare il lavoro) sia ad uno che già lavora bene perchè i mattoncini portano le conversazioni e le dinamiche di gruppo a sorprendenti nuovi livelli.
Come si gioca:
Per preparare il terreno a questo tipo di retrospettiva, i membri del team dovrebbero accettare di rispettare le regole di quel nuovo spazio volontariamente (ad esempio la prima direttiva) poiché non è un gioco se le persone sono costrette a giocare. Questo accordo tra tutti i membri del team crea un luogo sicuro in cui i membri possono ingaggiare se stessi in comportamenti anche rischiosi o scomodi.
Usando termini più consoni, nello specifico si tratta di creare la sicurezza psicologica (è compito del facilitatore crearla e mantenerla): è la cosa più importante in un team, ancor di più se si gioca (con o senza lego®) per esaminare con onestà e tranquillità i fatti e le emozioni. Un clima interno al team psicologicamente sicuro è l’ingrediente che permette a tutti di esprimere sinceramente le proprie opinioni con il massimo dell’immaginazione e creatività, che il gioco naturalmente genera. Sulla psycological safety come pre requisito fondamentale per ogni team- agile e non– vi rimando a questovideo, girato durante la conferenza 2019 di AGILE BUSINESS DAY. E’ anche un argomento del nostro corso Agile People Fundamentals & HR (ICP-AHR), e trovate un nostro articolo con un punto di vista diverso dal solito.
una certa quantità di mattoncini LEGO® misti (la quantità dipende dalle dimensioni della squadra). Di’ ai membri di sedersi intorno ad un tavolo (anche per terra va bene, è il primo luogo in cui abbiamo giocato) e metti i mattoncini nel mezzo.
musica (non invasiva o canticchiabile, che distrae, ma come sottofondo è un fattore di relax e di clima disteso)
Set the stage: HANDS OFF!
Definisci l’obiettivo e la direzione della retrospettiva. In particolare spiega a cosa serve, su cosa vuoi concentrare l’attenzione del team, e quali sono obiettivi: invita a parlare tutti, in maniera sintetica.
Warm-up: HANDS ON!
Si tratta di esercizi di “riscaldamento”, nello specifico 3
Costruisci un aereo (1 minuto)- raccontalo
Costruisci una cosa a caso con 7 pezzi (15 secondi); passa il tuo modellino al compagno alla tua destra e racconta con quello che ti è arrivato il tuo lunedì mattina (puoi utilizzare qualsiasi altro concetto);
Pensa ad un regalo per una persona importante per te e costruisci la scatola (2 minuti)- raccontala;
in alternativa, costruisci l’avatar personale con un punto di forza che pensi di portare nel team (2 minuti)- raccontalo.
Questi esercizi hanno questi obiettivi:
prendere confidenza con i mattoncini (al punto 1 fai costruire un oggetto semplice, una torre per es, oppure un ponte). L’importante è che sia solo per giocare, divertente e con una piccola sfida incorporata
esercitare le persone all’uso della metafora e dello “storymaking”.
Le regole da ricordare al team e che il facilitatore si premura di far rispettare per mantenere la sicurezza psicologica sono:
non ci sono regole o linee guida da seguire nella costruzione (no, non è Fight Club)
stiamo rappresentando le nostre idee, non è una gara di costruzione, né di estetica
fidati delle tue mani, mettiti subito all’opera, non passare troppo tempo a pensare a cosa costruire, ma di costruire, perché il senso emergerà;
raccontare solo la storia del modellino, così facendo non ci si perdera mai; se quello che si racconta non è nel modellino, non interessa.
ogni costruzione è GIUSTA e il senso è SEMPRE accettato da tutti, sono vietate le interpretazioni
si possono, anzi, è stra-consigliato, fare domande sui modellini degli altri per approfondire i concetti espressi dal costruttore, evitando giudizi.
Gather data: HANDS ON!
In questa fase con LSP faremo un esercizio individuale che serve a raccogliere i dati
Lavoro INDIVIDUALE (7 minuti)
In questo passaggio invita tutti a pensare allo sprint appena concluso e poi lancia la sfida:
Costruisci un modello che rappresenti come ha lavorato secondo te il team nell’ultima sessione; focalizzati su valori, comportamenti, atteggiamenti (positivi/negativi, interni/esterni)
music on!
I partecipanti possono usare tutti i mattoni di cui hanno bisogno. Occorre dare loro tempo per essere creativi e per pensare all’ultimo sprint. Alcuni inizieranno subito, altri potrebbero pensare di più e, come facilitatore, potresti incitarli a fidarsi del processo, delle mani ed invitarli a costruire qualcosa perché il senso emergerà, in qualche modo. La musica può aiutare a rendere l’ambiente ancora più confortevole.
Describe: fai scrivere su post it poche parole che riassumano il significato del modello
Share: fai raccontare a ciascuno il suo modellino (2 minuti a testa)
Inspect: a fare domande sul modellino e suo significato (1 minuto)
Get Insights: HANDS ON!
Lavoro di TEAM: POSIZIONAMENTO (10 minuti)
In questo passaggio usiamo i modellini dei dati per far costruire al team una rappresentazione unitaria e condivisa dell’ultimo sprint, invitandoli a posizionare sul tavolo i loro modelli in modo da stabilire fra essi delle relazioni che diano senso e vita a una configurazione complessa. Più i modelli sono vicini, più la relazione tra loro è forte. Tutti i modelli devono essere posizionati, senza essere modificati e con minimo un palmo di distanza l’uno dall’altro (niente ammucchiate!). Quando avranno terminato un portavoce presenterà il risultato. In gergo LSP questa tecnica è chiamata “landscape”, data la forte connotazione “geografica” del posizionamento.
È in questa fase che il team, mettendo in relazione i fatti, raccontandoseli, identifica in modo creativo trend, connessioni, relazioni e correlazioni causa-effetto in modo molto veloce.
STABILIRE DELLE PRIORITA’: Con il team davanti al landscape, il facilitatore può ora chiedere, In base alla storia che il team ha raccontato e ai significati dei modellini, su cosa vuole lavorare e con un veloce un dot voting vengono scelti i modellini temi su cui si vuole discutere.
Decide what to do: HANDS-ON!
Lavoro INDIVIDUALE (3 minuti)
In questo passaggio invita tutti a pensare a delle idee di miglioramento e lancia la sfida:
Costruite una o più idee di miglioramento per uno (si, uno solo) dei punti più rilevanti emersi dalla fase precedente.
Velocemente fai raccontare le idee, falle scrivere su un post it e posizionarle vicino al punto critico scelto. Alla fine il team avrà in un solo colpo d’occhio i punti con il maggior numero di idee attorno.
Potranno scegliere a quale dare priorità. (dot voting delle idee di miglioramento, due o tre al massimo)
Decide what to do: HANDS OFF!
La fase di costruzione è finita e si chiude con le azioni. Stimolando un braistorming su come implementare queste idee, si chiede a ciascun membro del team di scrivere un’azione specifica. Come ultima scelta, di decidere le azioni prioritarie per ogni idea. Questa fase si fa normalmente con i post it.
Close: HANDOFF!
In questa fase ognuno esplicita l’azione cha ha deciso e si cercano punti di miglioramento per la prossima retrospettiva.
Avere un buon rapporto con la VOCE è fondamentale se vogliamo essere efficaci nella comunicazione verbale grazie anche a una piena fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità espressive.
Dopo anni di attività professionale come cantante, preceduti da studi di musica e filosofia, ho iniziato a dedicarmi alla formazione della voce con la consapevolezza che “parlare” ha a che fare solo in parte con le parole.
La voce è fatta prima di tutto di SUONO, per questo la produzione della voce deve coinvolgere il corpo, la nostra energia e la volontà di farci sentire.
Quanto conosciamo la nostra voce? Come possiamo svilupparla?
Il timbro e il volume della voce sono prodotti da un meccanismo che se non viene usato bene potrebbe diventare il nostro principale limite nel parlare in pubblico. Inoltre, l’esercizio della voce e una respirazione consapevole si rivelano spesso preziosi anche per la capacità di gestire situazioni stressanti o emozioni negative.
Si parla tanto di agile, tanto che sta diventando una buzz word.
Finalmente sta prepotentemente uscendo dal contesto informatico, per interessare ambiti aziendali diversi. In questo articolo affrontiamo in mondo HR per parlare di Agile HR.
Perché Agile?
Il contesto in cui ci troviamo è complesso. Le variabili in gioco sono tante, più di quelle che riusciamo a vedere. Le connessioni sono molteplici.
Tutto questo rende il nostro mondo, o più semplicemente, i sistemi con cui interagiamo, per lavoro o nella vita privata, non predicibili non e non controllabili.
David Swodenha messo a punto, ormai tanti anni fa, unframework per suddividere i sistemi ed affrontarli in base alla loro classificazione.
Agile ci può aiutare per due caratteristiche:
L’approccio empirico, che ci permette di verificare, con continui esperimenti ed adattamenti, se le nostre azioni sono adeguate a quello che vogliamo ottenere.
L’approccio iterativo incrementale, che ci aiuta a suddividere il nostro obiettivo (o affettare l’elefante, come a volte si dice) in parti più piccole, per procedere un passo alla volta verso la meta. Non si dice così anche in montagna? Certo, la visione d’insieme è necessaria per non perdere la direzione.
I vari framework usati attualmente hanno almeno queste due caratteristiche che ci possono aiutare in un contesto complesso.
Perché HR?
Come si dice spesso, e si vede nelle aziende, gli approcci sono generalmente due:
Fare agile –> avere a che fare con delle pratiche operative.
Essere agili –> avere a che fare con il mindset, l’approccio.
Per entrambi il contributo di HR può essere molto importante.
Sia per implementare/modificare pratiche operative, che per attivare un cambiamento di approccio, avere dalla propria parte le Risorse Umane può essere molto di aiuto.
HR può sicuamente essere un ottimo consulente agile interno per un’azienda che si vuole trasformare.
Come fare?
Prima di raccontare come coinvolgere HR consideriamo separatamente i due ambiti che abbiamo individuato prima.
Le pratiche AGILI
In questo caso, dovendo attivare delle pratiche operative (in genere è il primo passo che le aziende fanno nel loro percorso di trasformazione), HR può essere un catalizzatore, armonizzando le pratiche da introdurre. Per esempio scrum, con le regole aziendali:
Prevedere percorsi di crescita anche per le nuove figure.
Considerare nei sistemi di performance management la dimensione del team.
Attivare un supporto per il processo di CHANGE che possa aiutare le persone con le nuove modalità lavorative.
Raccogliere dati sull’andamento dell’esperimento. Per poterlo analizzare e, sopratutto, per poter definire il conseguente adattamento per le successive ITERAZIONI. Perchè parlando di agile, sicuramente dobbiamo ragionare in termini di INSPECT & ADAPT.
Non tutto sarà attivato/attivabile da subito, proprio in un’ottica iterativa incrementale.
Avere il supporto di HR potrà integrare gli esperimenti, anche chiamati “Progetto Pilota”, nel contesto aziendale fin da subito. Comunicando una intenzione ed un investimento dell’azienda rassicuranti per le persone coinvolte.
L’approccio AGILE
Questa è la situazione più complessa, ma anche quella più gratificante e con un impatto profondo.
Qui si parla di agire sulla cultura aziendale. Ed in questo caso l’azione ed il coinvolgimento di HR è fondamentale.
I modi con cui agire sono molteplici, e dipendono molto dalla situazione di partenza.
Alcuni interventi possono essere considerati “universali”:
Abilitare la SICUREZZA PSICOLOGICA nel contesto aziendale per incoraggiare l’iniziativa personale e la sperimentazione. Questo non è solo compito di HR o dei Leader, come abbiamo scritto qualche tempo fa qui.
Attivare un sistema di OKRs in azienda per orientare e monitorare le azioni rispetto agli obiettivi.
Dare dignità alla dimensione di TEAM rendendoli:
auto-organizzati
il più possibile stabili
cross-funzionali.
Passare da una organizzazione a SILOS ad una per VALUE-STREAM rendendo fluidi e/o eliminando i CONFINI
Creare una LEARNING ORGANIZATION per rendere l’apprendimento continuo ed il più possibile allineato con le esigenze attuali dell’azienda.
Conclusioni
HR ha la possibilità di contribuire attivamente al successo di una trasformazione agile delle aziende.
Il primo passo potrebbe essere quello di passare dall’occuparsi di RISORSE UMANE (o Umane risorse, che sarebbe già meglio) ad interagire con le PERSONE ed occuparsi di CULTURA, passando da Human Resource a People & Culture, perché come sappiamo le parole sono importanti.
La sfida è avvincente e difficile, ed un certo numero di segnali la definiscono necessaria per le aziende che vorranno prosperare nel futuro prossimo.
Noi di Variaction abbiamo deciso di dedicare la nostra attenzione a questi temi entrando a far parte della Community di Agile People e promuovendo la diffusione dell’approccio proposto con i corsi di Agile HR che permettono di formarsi su questi temi.
La modalità di supporto che proponiamo segue il nostro modello in quattro fasi da adattare alla situazione di partenza trovata ed a quella target definita assieme al Cliente.
È il mio principio guida da quando ho perso il lavoro, a 40 anni suonati. Ma è stata una fortuna perchè ha cambiato il modo con cui guardavo le cose, cambiandole; e questo, alla fine, mi ha cambiato, diventanto un “perpetual learner”, una versione β di me stesso.
➡ Non ho un talento specifico ( se c’è, non lo vedo), ma io sono quello che supporta quello degli altri.Mi occupo di persone, di team e cerco di facilitare il loro lavoro, il loro benessere e aiuto a renderlo possibile.
➡ La mia passione e il mio scopo è creare nuovi livelli di comunicazione e collaborazione all’interno del tuo team, della tua organizzazione, per lavorare meglio insieme, imparando tecniche di collaborazione e conversazione diverse.
➡ Parto sempre dalla convinzione che ci sia un enorme potenzialenelle persone del tuo team e che queste hanno l’immaginazione per trovare le soluzioni necessarie. In altre parole, sono convinto che “la soluzione sia già nella stanza” e cerco di fornire loro lo strumento giusto per facilitare l’emersione di soluzioni.
Lavoro con la facilitazione dell’apprendimento e la formazione esperienziale per l’innovazione nelle human skills ed integro diversi modelli e metodologie di sviluppo organizzativo:
ESPERIENZIALE (small techniques outdoor/indoor) |DESIGN THINKING (i.e canvas) | LEGO SERIOUS PLAY® e SERIOUS GAMES | Open Space Technology & World Café
SU DI ME…
▶Ho una passione inspiegabile per la MIRMECOLOGIA, ero un buon scacchista, skyrunner e fast hiker, presepista solo a Natale; non mangio cioccolato sotto il 72% e ho fatto parte del Fronte Europeo Liberazione Nani da Giardino
In ogni obiettivo di change, un buon clima di sicurezza psicologica in azienda è un ingrediente indispensabile per ottenere risultati interessanti. In che modo un consulente può verificare rapidamente la situazione? E oltre agli stili di leadership ci sono altre direzioni da indagare per farsi un quadro completo e agire con la migliore efficacia?
La sicurezza psicologica (Psychological Safety) è un concetto che inizia a prendere corpo verso la fine del secolo scorso.
Per molti aspetti è correlabile al tema del clima organizzativo, e in genere viene definito come un’atmosfera in cui le persone riescono a mostrare ed impiegare se stesse in una attività, senza paura delle possibili conseguenze negative.
E’ ovvio che se una persona percepisce come pericoloso o svantaggioso l’assumersi rischi interpersonali nel posto di lavoro, se una risorsa, un membro del team, ritiene che le proprie idee potranno essere accolte con diffidenza o, peggio, banalizzate o addirittura non considerate, si può dire che si è in un ambiente caratterizzato da una scarsa sicurezza psicologica.
In un periodo come quello che stiamo vivendo, la natura delle mansioni sta subendo un forte cambiamento: la modularità, la prevedibilità, gli aspetti routinari stanno lasciando il posto a compiti che richiedono capacità di giudizio, di proporre nuove idee, di comunicazione e di gestione dell’incertezza.
Ecco perché è importante ottenere che gli ambienti di lavoro siano il più possibile “psicologicamente sicuri”, dal momento che in tali ambienti i lavoratori possano sentirsi liberi di sbagliare e di condividere eventuali errori con altri senza la paura di sentirsi umiliati, in imbarazzo, o addirittura puniti.
Capire in fretta il contesto in cui si agisce
In ambienti caratterizzati da scarsa sicurezza psicologica è veramente difficile condurre in porto un progetto di cambiamento che funzioni.
Dal punto di vista di un consulente è perciò essenziale potere avere rapidamente un polso della situazione prima ancora di entrare nella fase progettuale e di raccolta dati.
Adam Grant, psicologo americano molto attento alle dinamiche organizzative, propone un elenco di KBI -key behavioral indicators- che possono fungere da primo orientamento.
In un’organizzazione dove c’è un clima di sicurezza psicologica le persone non temono di verbalizzare frasi come:
Non lo so
Ho fatto uno sbaglio
Non sono d’accordo
Forse sono in errore
Ho una preoccupazione
Ho un’idea
Dunque la presenza -o l’assenza- di esternazioni di questo tipo costituisce già di per sé un valido indicatore, da completare ovviamente con interviste e questionari.
Nel caso in cui la situazione faccia trasparire un clima di scarsa sicurezza da dove si dovrebbe cominciare?
Nella letteratura corrente il primo indiziato è il capo, il leader. E’ lui che viene di solito indicato come il principale responsabile nella creazione di un clima psicologico funzionale, come sembra proporre la psicologa americana Amy Edmondson.
Non di solo leader
Nella definizione di Amy Edmondson, la sicurezza psicologica è un fenomeno sistemico a livello di gruppo, in cui la fiducia reciproca gioca un ruolo essenziale.
La dinamica che ne deriva è in grado di generare apprendimento di schemi comunicativi efficaci, che sfociano nella creazione di comportamenti altrettanto efficaci e di prestazioni lavorative in crescita.
Amy Edmondson mette in primo piano la capacità di agire una comunicazione efficace: tra colleghi, a soprattutto tra leader e collaboratori.
Indubbiamente il fatto di impostare l’intervento anzitutto sui manager è un passaggio obbligato, tuttavia sarebbe fuorviante pensare che la cosa si possa risolvere con un po’ di coaching sui team leader.
Infatti le dinamiche relazionali alla base di un clima di sicurezza psicologica non fluiscono solo verticalmente, ma anche orizzontalmente.
Antipatie, invidia, intolleranza sono spesso presenti anche tra pari, e non ci si può aspettare che un leader per quanto illuminato abbia le competenze (e il tempo) per gestire e risolvere situazioni di questo genere.
Senza poi citare i numerosi casi in cui il team leader nulla può contro un CEO o un Direttore generale di vedute ristrette ed egoriferiti
Criterio operativo, allargare il quadro
Va detto in sintesi che l’approccio della Edmondson contiene spunti utili, ma -a parte l’enfasi eccessiva sull’azione del leader, la sua impostazione sconta una visione dell’azienda come un sistema chiuso: l’insicurezza, il disorientamento nascono spesso anche altrove, in altri sistemi di cui ognuno è parte, per poi essere importati in azienda.
Per chiarire meglio, Urie Bronfenbrenner -psicologo sistemico -propone già dagli anni ’70 del secolo scorso un “modello ecologico” dove ognuno è parte di più sistemi concentrici:
microsistema: ad esempio la famiglia, il lavoro, gli hobby
mesosistema: situazioni che nascono dal modo con cui il soggetto con la sua azione diretta crea connessioni tra i vari Microsistemi
esosistema: nasce dall’interconnessione tra due o più contesti sociali dove la persona può non avere un’azione diretta. Ad esempio luogo di lavoro- situazione di mercato
macrosistema: comprende le istituzioni politiche ed economiche, i valori della società, la sua cultura.
E’ evidente che le possibili influenze rispetto a una atmosfera di sicurezza psicologica sul luogo di lavoro possono arrivare da molto lontano e anche da contesti differenti da quello lavorativo.
Questo naturalmente allarga la sfida per il consulente, ma gli offre anche una utile indicazione per la sua attività di indagine: non limitarsi a indagare ciò che cade sotto i propri occhi, ma spingersi oltre e mappare un quadro sistemico il più ampio possibile.
Ciò gli darà la capacità di agire tenendo conto dei fattori influenzanti più rilevanti, qualunque sia la loro origine, e di predisporre strategie opportune e realmente calzanti alla situazione.
E’ evidente che le possibili influenze rispetto a una atmosfera di sicurezza psicologica sul luogo di lavoro possono arrivare da molto lontano e anche da contesti differenti da quello lavorativo.
Questo naturalmente allarga la sfida per il consulente, ma gli offre anche una utile indicazione per la sua attività di indagine: non limitarsi a indagare ciò che cade sotto i propri occhi, ma spingersi oltre e mappare un quadro sistemico il più ampio possibile.
Ciò gli darà la capacità di agire tenendo conto dei fattori influenzanti più rilevanti, qualunque sia la loro origine, e di predisporre strategie opportune e realmente calzanti alla situazione.
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