Il neuroscienziato Richard Davidson ha elaborato un interessante modello per costruirsi un benessere “da dentro”, al riparo da imprevisti e turbolenze della vita. Ma al momento c’è ancora qualcosa che manca: il Purpose.
In un nuovo articolo, David Goleman parte da una considerazione interessante.
Ogni gennaio, circa un americano su tre prende una risoluzione per migliorare se stesso in qualche modo.
La ricerca suggerisce che a sei mesi dall’inizio del nuovo anno, ovvero in pochi mesi, meno della metà di queste persone è ancora in linea con l’obiettivo di raggiungere il proprio obiettivo.
Un’ampia percentuale di questi obiettivi, ben oltre la metà, è correlata al benessere o alla forma fisica. Cose come “corri di più” o “prenditi una pausa” o “dormi meglio”. E via dicendo.
Risultati simili li abbiamo ottenuti anche noi durante un recente seminario del LISA -Laboratorio di Intelligenza Sistemica Applicata.
Goleman si chiede -e noi con lui- se questi sono gli unici posti in cui dovremmo mettere la nostra energia, o se invece c’è qualcos’altro su cui potremmo investire per un benessere più costante e profondo.
Lo scorso luglio, il sondaggio di monitoraggio della Kaiser Family Foundation ha riferito che più della metà degli adulti statunitensi ha segnalato un calo della propria salute mentale a causa della preoccupazione e dello stress per la pandemia, rispetto al 32% segnalato nel marzo del 2020.
Abbiamo buoni motivi per ritenere che in Italia le cose non vadano meglio.
Considerato quanto è stato stressante l’ultimo anno, ci domandiamo se sia possibile trovare fonti di felicità meno dipendenti dalle incertezze e dalle turbolenze che la vita può offrirci.
Pensando a qualcosa di concreto da considerare quando cerchiamo un antidoto al nostro malessere, il dato forse più importante, benché in genere non il più evidente, è la differenza tra il tipo di felicità che dipende da ciò che ci accade giorno dopo giorno e un senso di benessere che viene da dentro.
Richard Davidson è un neuroscienziato e fondatore del Center for Healthy Minds presso l’Università del Wisconsin, amico e collega di Goleman.
Sulla base di anni di ricerca scientifica, lui e i suoi colleghi hanno introdotto un quadro per il benessere che trascende ciò che tradizionalmente abbiamo considerato “buono per noi”.
I quattro pilastri
Nel suo modello il benessere ha quattro pilastri:
- Awareness (Consapevolezza nel senso di Presenza): la nostra attenzione al nostro ambiente, alle sensazioni corporee, ai pensieri e ai sentimenti, il grado in cui notiamo (o meno) i dettagli della nostra esperienza.
- Connessione: quanto siamo legati agli altri e al mondo che ci circonda, il grado in cui pratichiamo apprezzamento, gentilezza e compassione.
- Insight: quanto e quanto spesso coltiviamo la curiosità e la conoscenza di noi stessi.
- Scopo (Purpose): il grado in cui comprendiamo i nostri valori e le nostre motivazioni, utilizzandoli come una stella polare in base alla quale guidiamo le nostre decisioni.
Ciascuno di questi pilastri si focalizza su competenze specifiche che possono essere apprese e rafforzate nel tempo, come dimostrano anche diversi studi di laboratorio.
Davidson sostiene che se vogliamo trovare un senso di felicità e benessere nelle nostre vite, dobbiamo coltivarli in egual misura.
Non sono separati: sono per così dire quattro facce di un’unica medaglia.
Il tipo di felicità “da fuori” può facilmente subire un picco negativo ogni volta che si verificano delle avversità, come in questo periodo di blocco e recessione in cui continuano ad accadere cose brutte.
Ma il secondo – il tipo “da dentro” su cui sta lavorando Davidson – offre una sorta di vaccinazione contro questi alti e bassi.
Tornando all’inizio, è chiaro che obiettivi come quelli dichiarati più sopra -tempo per sé, forma fisica, relazioni affettive ecc – sono ottimi per i pilastri che Davidson chiama awareness e connessione.
Ma è sugli altri due pilastri che invece c’è in genere scarsa attenzione. Qualcosa forse sull’insight, ma zero sullo scopo: il quarto pilastro.
Che è quello della trasformazione evolutiva, del salto di livello, della coscienza di sistema.
Anche Goleman infatti si chiede: che tipo di riflessioni stiamo facendo riguardo al purpose? Possiamo trovare un senso di significato più ampio del nostro interesse personale?
Interrogativi che anche noi non solo condividiamo, ma sui quali già ci stiamo impegnando per far crescere la “consapevolezza sistemica” delle persone, sviluppando un mindset che connette invece di separare, che interagisce invece di controllare, che rilancia invece di arroccarsi.
Per uscire da quell’egoriferimento esteso che fa da tappo alla nostra evoluzione personale e sociale.